L'Italia ha violato in maniera sistematica e continuata la direttiva Ue sulla qualità dell'aria. Un'inadempienza in seguito alla quale il nostro Paese non ha, inoltre, posto rimedio con le misure adeguate. Questa la condanna formulata dalla Corte europea di Giustizia in una sentenza emessa oggi a Lussemburgo. Nel dettaglio – secondo quanto stabilito dalla Corte – non sono stati rispettati, in alcuni casi per più di dieci anni, i valori limite sia giornalieri che annuali della concentrazione nell'aria di emissioni di particolato PM10. I limiti giornalieri sono stati violati a partire dal 2008 in varie zone, agglomerati o regioni: Roma e Frosinone, Napoli e Caserta, Emilia Romagna, Milano, Bergamo, Brescia, pianura lombarda e Piemonte; a partire dal 2009 in Veneto, negli agglomerati di Venezia-Treviso, Padova, Vicenza e Verona. In tempi diversi, le violazioni hanno riguardato anche le zone, agglomerati o regioni di Prato-Pistoia, Pisa e Lucca, Torino, Terni, Benevento (area costiera collinare), Puglia (zona industriale) e Palermo. I limiti annuali sono stati superati in tempi diversi e nelle zone di Roma-Frosinone, Venezia-Treviso, Vicenza, Milano, Brescia, pianura lombarda e Torino. Già nel luglio del 2014 l'Italia era stata messa in mora dalla Commissione europea per il continuo e sistematico superamento, in tutte le 27 zone geografiche del territorio nazionale prese in esame, dei limiti giornalieri e annuali di concentrazione di PM10 (rispettivamente a 50 e 40 microgrammi per metro quadro), previsti all'allegato XI della direttiva sulla qualità dell'aria (2008/50/CE), entrata in vigore l'11 giugno 2008. La Commissione aveva constatato il mancato rispetto da parte dell'Italia dell'obbligo, previsto dalla direttiva e vigente dall'11 giugno 2010, di "adottare senza indugio misure appropriate ed efficaci" affinché il periodo di superamento dei valori limite applicabili alle concentrazioni di PM10 fosse "il più breve possibile". Ritenendo insufficienti i chiarimenti forniti in proposito dall'Italia, la Commissione aveva adito la Corte di Giustizia il 13 ottobre 2018, con un ricorso per inadempimento. La Corte ha accolto oggi il ricorso, giudicando fondate tutte le accusa e respingendo in modo piuttosto netto tutte le argomentazioni addotte dall'Italia. A questo riguardo, la Corte constata che dal 2008 fino a tutto il 2017, i valori limite giornaliero e annuale per le particelle PM10 sono stati regolarmente superati nelle zone interessate. Secondo la Corte, si configura un inadempimento "sistematico e continuato" alle disposizioni della direttiva, anche se, come ha affermato l'Italia, il superamento non è avvenuto in tutte le zone per tutti tutti gli anni durante questo periodo. L'Italia aveva sostenuto di non poter essere ritenuta responsabile di alcune forme di inquinamento dell'aria, in particolare quelle influenzate dalle particolarità topografiche e climatiche di alcune zone. Un'argomentazione che – sottolineano i giudici comunitari – "vale solo nel caso in cui si verifichino delle circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l'uso della massima diligenza da parte dello Stato". Per la Corte è, dunque, irrilevante che l'inadempimento dipenda da difficoltà tecniche o strutturali. La Corte, inoltre, non conferisce alcuna rilevanza alla circostanza, invocata dall'Italia, dell'estensione limitata delle zone prese in considerazione, rispetto all'insieme del territorio nazionale, e precisa che il superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10, anche nell'ambito di una sola zona, è di per sé sufficiente per costituire un inadempimento alle disposizioni della direttiva. Accolto in pieno anche il ricorso della Commissione europea riguardo alla mancata adozione di misure adeguate per garantire il rispetto dei valori limite del PM10. I giudici della Corte Ue ricordano che, in caso di superamento delle soglie dopo il termine previsto per la loro applicazione, lo Stato membro interessato è tenuto a redigere un piano relativo alla qualità dell'aria che risponda ai requisiti della direttiva. In questo contesto, sebbene gli Stati dispongano di un certo margine discrezionale per la determinazione delle misure da adottare, queste misure devono in ogni caso consentire che il periodo di superamento delle soglie sia il più breve possibile. Secondo la Corte, l'Italia non ha manifestamente adottato le misure adeguate in tempo utile. Infatti, il superamento dei valori limite giornaliero e annuale per il PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni nelle zone interessate. Inoltre, nella loro grande maggioranza, le misure volte a modificare strutturalmente i fattori principali di inquinamento, previste solo in tempi estremamente recenti, fanno parte di piani per la qualità dell'aria con una durata dichiarata di realizzazione di diversi anni, fino addirittura a due decenni dopo l'entrata in vigore dei valori limite. L'Italia, adducendo i principi di proporzionalità, di sussidiarietà e di equilibrio tra gli interessi pubblici e quelli privati, aveva sostenuto di ritenere indispensabile disporre di termini più lunghi affinché i piani sulla qualità dell'aria possano produrre i loro effetti. Un'argomentazione respinta dalla Corte che l'ha ritenuta "in contrasto sia con i riferimenti temporali fissati per adempiere agli obblighi della direttiva, sia con l'importanza degli obiettivi di protezione della salute umana e dell'ambiente, perseguiti dalla stessa direttiva". Per i giudici l'approccio dell'Italia, se accettato, finirebbe con l'ammettere una proroga generale, eventualmente sine die, del termine per rispettare i valori limite, che sono stati fissati proprio per conseguire quegli obiettivi. Il particolato PM10 è composto di particelle solide o liquide di diametro inferiore a 10 micrometri, spesso contenenti sostanze tossiche, che possono penetrare nelle vie respiratorie e nei polmoni. Le emissioni sono dovute principalmente ai carburanti usati nei trasporti e al riscaldamento domestico. L'esistenza di un nesso causale tra l'esposizione a elevate concentrazioni di particelle nell'aria e l'aumento della mortalità o della frequenza percentuale di alcune malattie nella popolazione è stata confermata dall'Organizzazione mondiale della Sanità. L'Italia, con 66.630 decessi prematuri riconducibili a questa causa in un anno, è lo Stato membro dell'Ue maggiormente colpito in termini di mortalità connessa al particolato. (Foto: © Iaroslav Danylchenko /123RF)